DIFENDERE IL LAVORO POST TRAPIANTO DI ORGANO

Avvocato Claudio Paolini

Ogni modifica peggiorativa della condizione professionale, intervenuta in concomitanza e/o successivamente a un trapianto, che non sia fondata su motivazioni oggettive e dimostrabili, può essere oggetto di contestazione da parte del lavoratore presso tutte le sedi opportune. Il cambiamento della mansione/qualifica professionale non può, di per sé, essere basato sulla sola condizione di essere stato sottoposto a trapianto: ciò significa che tale cambiamento non può avere carattere discriminatorio. Il nostro ordinamento giuridico, infatti, si fonda su principi di diritto che tutelano il soggetto trapiantato, la sua dignità come membro della società, partecipe della vita aggregativa, relazionale, economica e produttiva.

Quanto detto può riassumersi nel seguente principio generale: ogni lavoratore ha il diritto alla conservazione del proprio posto di lavoro, da intendersi come diritto di conservare la propria professionalità, nonché di essere assegnato alle mansioni per le quali è stato assunto, compatibilmente alle eventuali limitazioni sopravvenute, determinate da motivi di salute. In sintesi, la conservazione del proprio posto di lavoro è garantita nonostante l’invalidità e le nuove condizioni di salute e il datore di lavoro – è importante ricordarlo -, ove possibile, ha l’obbligo di individuare la collocazione lavorativa più adeguata alla residua idoneità al lavoro rimasta al lavoratore.

Purtroppo, a volte, nella realtà dei fatti, nell’ambito delle logiche aziendali, prevalgono scelte palesemente discriminatorie ed i mezzi di comunicazione di massa riportano la notizia di lavoratori che, dopo il trapianto, vengono privati del proprio posto di lavoro.

Di seguito alcuni dei casi più significativi, che dimostrano quanta strada ci sia ancora da fare per raggiungere il pieno riconoscimento e garanzia di tutela dei diritti dei lavoratori trapiantati.

Nel 2017, due lavoratori, nel periodo successivo al trapianto, si sono visti recapitare la lettera di licenziamento.

In quell’anno, a Torino, un operaio è stato licenziato dopo essersi sottoposto a trapianto di fegato.

L’azienda datrice di lavoro, nella lettera di licenziamento, ha affermato, in maniera generica e senza fornire prove adeguate, di avere svolto la doverosa attività di verifica circa la possibilità di ricollocare il lavoratore in altra mansione. Il grande impatto mediatico della vicenda, rinforzato anche dalla grande adesione allo sciopero di solidarietà indetto immediatamente dai Sindacati e la legittima facoltà del lavoratore di intraprendere una causa per la illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, hanno indotto l’azienda a revocare il licenziamento. In particolare, in sede di accordo con le organizzazioni sindacali, il lavoratore ha potuto scegliere tra il rientro in azienda (con reintegrazione nel proprio posto di lavoro) oppure un indennizzo che lo accompagnasse al pensionamento.

All’epoca dei fatti, Giuliano Poletti, l’allora Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, commentando il caso in esame, dichiarò “risulterà difficile esigere dall’impresa la responsabilità di garantire un’opportunità ai lavoratori che vivono situazioni come quelle dell’operaio torinese se poi non si offrono alle aziende gli strumenti per poter garantire la conservazione e il ritorno al lavoro dei lavoratori con malattie croniche”.

Sempre nel 2017, a Castel di Casio, in provincia di Bologna, un operaio è stato licenziato perché, dopo un trapianto di rene, durante il lavoro, aveva bisogno di ripetute pause fisiologiche. Dopo il fallimento della trattativa finalizzata alla reintegrazione del lavoratore nel proprio posto di lavoro, questo è stato costretto ad iniziare una causa innanzi al competente Tribunale di Bologna.

Di seguito il comunicato rilasciato dalla FIM CISL – Area Metropolitana Bolognese: «Nel corso degli ultimi anni nonostante le continue sollecitazioni da parte della FIM CISL che ha più volte chiesto all’azienda un’attenzione particolare, vista la situazione fisica altamente precaria del lavoratore, la stessa al contrario, ha proceduto con numerose contestazioni fino ad arrivare ad oggi con il recapito della lettera di licenziamento». Sottolinea il Sindacato che la società “con tale atto ha contravvenuto ai doveri morali di correttezza e buona fede, violando quanto sancito dallo stesso contrattocollettivo nazionale di lavoro che impone una particolare attenzione a tutti i lavoratori che, come nel caso specifico, soffrono di determinate patologie».

Nel 2021, una lavoratrice affetta da fibrosi cistica è stata licenziata mentre era in coma, a seguito di trapianto bipolmonare, con  altri 12 lavoratori appartenenti alle categorie fragili, proprio da una cooperativa sociale che, tra i suoi scopi principali, annovera anche quello di promuovere l’attività  lavorativa di persone svantaggiate, per favorirne l’inclusione sociale. Il provvedimento è stato impugnato innanzi al Tribunale di Roma e la prossima udienza è fissata per il 20 gennaio 2022. La Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal canto suo, ha affidato il caso all’UNAR, l’Ufficio Antidiscriminazioni, il cui Direttore, Triantafilos Loukarelis, a commento della gravità della vicenda, fra l’altro, ha dichiarato: “Se […] l’aspetto economico è sicuramente importante, è ancora peggio far mancare a queste persone l’identità sociale in cui si rispecchiano e si riconoscono”.

Non tutti i casi esistenti raggiungono l’opinione pubblica e si può stimare che le situazioni in cui, post trapianto, i lavoratori si trovano a dover lottare per vedersi riconosciuta un’adeguata qualità della propria vita lavorativa o anche il loro posto di lavoro siano più numerosi di quelli portati alla ribalta dai mezzi di comunicazione.

In casi come questi, da un punto di vista giuridico, il problema principale è individuare e garantire l’equilibrio ed il contemperamento tra i diversi diritti in gioco, tutti riconosciuti e tutelati dalla nostra Costituzione: da un lato la libertà d’iniziativa economica del datore di lavoro e dall’altro il diritto del lavoratore alla stabilità del proprio posto di lavoro ed alla tutela della propria salute.

Vedremo insieme come la legge può offrire tutela ai lavoratori trapiantati, colpiti da un licenziamento e dalla conseguente perdita di retribuzione.

Claudio Paolini