Dopo trapianto d’organo il parto vaginale è più sicuro

Piercarlo Salari, Pediatra

Il parto vaginale nelle donne in gravidanza con una storia di trapianto di fegato o rene non comporta rischi maggiori per il l’esito del trapianto o per il bambino. Risulta invece il contrario per il taglio cesareo programmato. Questa osservazione è emersa da uno studio americano, pubblicato sulla rivista internazionale JAMA Network Open, in cui sono stati esaminati i dati di 5 decenni relativi a 1.865 donne d’età compresa tra 18 e 48 anni, delle quali 1.435 sottoposte in precedenza a trapianto di rene e 430 a trapianto di fegato.

Più in dettaglio, i ricercatori hanno valutato l’insorgenza di problematiche a carico sia della madre (nel corso della gravidanza e del parto e relativamente al mantenimento della funzione dell’organo trapiantato), sia del neonato (condizioni generali alla nascita, eventuale ricovero con relativa durata in terapia intensiva). Il 73% delle gravidanze si è concluso con un parto vaginale, che si è associato a morbilità e mortalità neonatale inferiori a quella registrata dopo taglio cesareo.

Le donne che hanno avuto un parto vaginale hanno avuto esiti migliori per il bambino senza un aumento del rischio per la salute della madre. L’analisi dei dati ha mostrato che i bambini nati da donne con storia di trapianto di reni e di fegato, hanno avuto esiti migliori con un parto vaginale, con una frequenza di problemi intorno al 6-10% in caso di parto naturale, rispetto al 20% in caso di parto cesareo. Inoltre, i bambini nati dopo taglio cesareo programmato, hanno avuto più del doppio del rischio di problemi respiratori a breve e lungo termine, e alcuni hanno avuto necessità di ventilazione meccanica. Uno dei risultati più sorprendenti è stato che, anche se il travaglio si è poi concluso con un taglio cesareo, i neonati hanno comunque avuto esiti migliori rispetto a quelli venuti alla luce dopo un intervento chirurgico programmato. In conclusione, le donne in gravidanza con una storia di trapianto di rene o fegato possono provare ad affrontare un parto vaginale senza alcun rischio maggiore per sé, per l’esito del trapianto o per il bambino: la discussione con l’équipe che le assiste potrà meglio stabilire caso per caso l’opzione migliore. Questo dato è importante non soltanto nella valutazione della modalità del parto, ma anche alla luce del fatto che, come si legge nella pubblicazione, i tagli cesarei negli Stati Uniti hanno registrato un aumento del 20% tra il 1996 e il 2018. In questo scenario si rispecchia anche la realtà italiana: come riporta l’Istituto Superiore di Sanità, infatti, negli ultimi venti anni la frequenza dei cesarei è salita dall’11,2% nel 1980 al 33,2% nel 2000, con un valore del 33,1% nel 2017, ben superiore al 25% della media europea.


Fonti

  • JAMA Network Open 2021. Doi: 10.1001/jamanetworkopen.2021.27378; http://doi.org/10.1001/jamanetworkopen.2021.27378  
  • https://www.epicentro.iss.it/percorso-nascita/spinelli
  • http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=79836
Piercarlo Salari