Il periodo di comporto nel pubblico impiego

Avvocato Claudio Paolini

Dopo esserci occupati delle assenze dal lavoro per malattia del lavoratore trapiantato o in attesa di trapianto e, più in generale, della tutela del paziente in ambito lavorativo, vediamo ora come questa tematica viene disciplinata nell’ambito del pubblico impiego, con particolare riferimento al periodo di comporto.

Ricordiamo che il comporto è il periodo massimo di giorni di assenza dal lavoro per malattia, decorso il quale il dipendente non ha più diritto alla conservazione del posto di lavoro. La durata di tale arco temporale, anche per il pubblico impiego, è stabilita dai singoli Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) applicabili ai diversi comparti di appartenenza del lavoratore, che, oltre a questo aspetto, disciplinano anche altri profili di questo istituto.

Per i dipendenti pubblici, la disciplina delle assenze per motivi sanitari è stata ridefinita dal Decreto Legge n. 112 del 25/06/2008, art. 71 (convertito, con modificazioni, dalla Legge 06/08/2008, n. 133), con le integrazioni di cui alle Circolari nn. 7/2008, 8/2008 e 10/2011 del Dipartimento di Funzione Pubblica.

In linea generale, per i dipendenti pubblici, il comporto non può avere una durata superiore a 18 mesi, con possibilità di proroga per ulteriori 18 mesi. Solo i primi 18 mesi sono retribuiti in base alla effettiva durata delle assenze dal servizio; l’eventuale periodo di proroga, invece, viene fruito come periodo di aspettativa non retribuita, da richiedersi prima della scadenza del primo periodo, nel caso in cui le condizioni di salute del lavoratore non gli consentano un rientro in servizio. Dopo avere ricevuto la domanda di aspettativa, l’Amministrazione di appartenenza, attraverso il servizio di Medicina Legale dell’Ausl di riferimento, può richiedere gli accertamenti sanitari, volti a verificare che, effettivamente, le attuali condizioni di salute del dipendente non gli consentano di rientrare al lavoro. Trascorso tale periodo (18 mesi + 18 mesi), se il lavoratore è stato riconosciuto idoneo al lavoro, ma non alle mansioni specifiche del proprio profilo professionale, può rientrare in servizio, essendo adibito – con il suo consenso – anche a mansioni inferiori a quelle di originaria assegnazione, ove nella pianta organica ve ne siano di compatibili con le sue condizioni di salute. In tale caso, comunque, il dipendente conserva il trattamento retributivo più favorevole, corrispondente alle mansioni di provenienza.

Poiché la conseguenza del superamento di tale periodo può essere la perdita del posto di lavoro per licenziamento, è particolarmente importante essere a conoscenza della disciplina contrattuale applicabile al proprio comparto di appartenenza. Vi rimandiamo all’articolo dedicato al tema, già pubblicato, per gli approfondimenti.

A tal proposito, anche il dipendente pubblico ha la possibilità di sospendere il decorso del periodo di comporto, proprio per non dovere trovarsi esposto al rischio di essere licenziato a causa del suo decorso. Egli, a tal fine, prima della scadenza del comporto, può chiedere di fruire delle ferie maturate e non godute, in sostituzione dei giorni di malattia. Sul punto la Corte di Cassazione si è espressa con la ordinanza 10 luglio – 14 settembre 2020, n. 19062. Dopo avere premesso che: 1) il lavoratore ha la “facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate e non godute”, 2) la scelta del periodo di fruizione delle ferie, in linea di principio, spetta al datore di lavoro, la Suprema Corte ha espresso il principio per cui il diniego delle ferie da parte del datore si deve, comunque, misurare “con il rilevante e fondamentale interesse del lavoratore ad evitare in tal modo la possibile perdita del posto di lavoro per scadenza del periodo di comporto”.

Pertanto, quando la fruizione delle ferie è finalizzata a evitare lo spirare del comporto, il diritto del datore di scegliere il tempo delle ferie, sancito dall’art. 2109 del codice civile, viene notevolmente limitato, ritenendosi preminente il diritto del lavoratore a non perdere il proprio posto di lavoro per motivi di salute. In questo frangente, dunque, l’eventuale diniego della “richiesta ferie” dovrà essere fondato su una motivazione particolarmente stringente ed esplicativa.

Durante i periodi di assenza per malattia, la retribuzione viene corrisposta secondo la seguente quantificazione:

  • primi 9 mesi: 100% della retribuzione (esclusi, nei primi dieci giorni, ogni indennità o emolumento, aventi carattere fisso o continuativo, nonché ogni altro trattamento accessorio);
  • successivi 3 mesi: 90% della retribuzione; ulteriori 6 mesi: 50% della retribuzione;
  • eventuali 18 mesi successivi: 0% retribuzione.

Vediamo che, nei primi dieci giorni di ogni periodo di malattia, la retribuzione subisce una decurtazione, in quanto viene corrisposto il solo trattamento economico fondamentale (si rimanda alla Circolare del Dipartimento di Funzione Pubblica n. 7/2008 per verificare le componenti di tale trattamento), escluse le voci sopra indicate, come previsto dall’art. 71 del Decreto Legge n. 112/2008. Questo articolo, sancisce, però, la possibilità che i singoli CCNL (o le normative di settore) stabiliscano una disciplina più favorevole, in forza della quale tale decurtazione potrebbe non applicarsi, fra l’altro, per:

  • assenze dovute a gravi patologie che richiedono l’effettuazione delle terapie salvavita (che, cioè, sono indispensabili per il mantenimento in vita del soggetto o per il suo prolungamento, di per sé produttive di una incapacità temporanea alla prestazione lavorativa, a causa dei loro effetti invalidanti), quali l’emodialisi, la chemioterapia, ecc… (sono esclusi dalla decurtazione anche i giorni di assenza dovuti alle conseguenze invalidanti certificate che, tipicamente, possono derivare in seguito alla effettuazione delle terapie salvavita);
  • assenze per ricovero ospedaliero o day-hospital.

Eccezion fatta per le citate casistiche, l’ultimo comma dell’art. 71 sancisce espressamente che la contrattazione collettiva non può derogare alla riduzione della retribuzione nei primi dieci giorni di malattia. Con la circolare n. 8/2008, il Dipartimento della Funzione Pubblica precisa, poi, che la decurtazione opera per ogni episodio di assenza (anche di un solo giorno) e per tutti i dieci giorni, anche se l’assenza si protrae per più di dieci giorni. Decorsi tale primo periodo, si applicherà il regime giuridico – economico previsto dai CCNL e dagli accordi di comparto.

Il periodo di comporto va calcolato, sommando, di volta in volta, i giorni di assenza dovuti al nuovo episodio di malattia alle assenze per malattia verificatesi nei tre anni precedenti. Pertanto, è importante prestare attenzione alla data in cui ha avuto inizio l’ultimo episodio di morbilità, in quanto è proprio da quella data che decorrono i tre anni a ritroso.

Quanto al calcolo del comporto, si segnala, inoltre, che vi sono CCNL che, introducendo una disciplina di maggior favore, prevedono lo scorporo, da tale periodo, dei giorni di assenza per malattia dovuti alle patologie gravi, che richiedono terapie salvavita. In particolare, vengono scorporati:

  • i giorni di ricovero ospedaliero o di day hospital, necessari a effettuare le terapie;
  • i giorni di assenza dovuti al prodursi degli effetti collaterali diretti delle terapie stesse, certificati come tali. In tal senso, si segnala la sentenza della Corte Costituzionale n. 28 del 3 marzo 2021.

È importante evidenziare che la gestione clinica e il monitoraggio del trapianto, da un punto di vista normativo, non sono considerate terapia salvavita, con tutte le conseguenze derivanti da quanto sopra illustrato in fatto di retribuzione e calcolo del periodo di comporto. Il lavoratore trapiantato, quindi, potrà optare per:

  •  permesso breve,
  • permesso per documentati motivi personali,
  • assenze per malattia, 
  • ferie,
  • aspettativa finalizzata ad evitare il superamento del comporto,
  • permessi di cui alla Legge n. 104/92.

L’Inps ha incluso il trapianto d’organo vitale nella lista di riferimento delle situazioni patologiche che integrano il diritto all’esonero dalle fasce di reperibilità in caso di assenza per malattia (“Linee Guida in attuazione del Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro della Salute, 11 gennaio 2016, previsto dall’art. 25 del D. Lgs. 14 settembre 2015, n. 151”).

La procedura volta al riconoscimento di una grave patologia deve essere attivata dal lavoratore, che è tenuto a trasmettere alla propria Amministrazione una certificazione medica attestante sia l’esistenza di una grave patologia – non incompatibile, in maniera permanente, con la conservazione del rapporto di lavoro -, sia la necessità, in conseguenza della patologia, di ricorrere, contestualmente alla patologia in atto, alle terapie salvavita, oltre che del periodo temporale in cui verrà effettuata.

Claudio Paolini