Se in un primo tempo il trapianto di fegato, effettuato per la prima volta nel 1963 presso l’Università del Colorado (in Italia nel 1982 a Roma), era considerato una procedura sperimentale, dopo gli anni 80 è diventato un’indicazione elettiva per la cura di numerose malattie epatiche non altrimenti curabili.
Recentemente, inoltre, si è sviluppata la tecnica chirurgica dello “split di fegato”. Il termine “split” significa “divisione”: in pratica dal fegato di un donatore si possono ottenere due porzioni, generalmente una più grande, da impiantare in un ragazzo o in adulto, e una di dimensioni inferiori, adatta alla corporatura di un bambino (l’alternativa in un bambino è infatti l’impianto di un fegato prelevato da un donatore pediatrico). Un’altra possibilità, applicando una procedura differente sul piano pratico ma concettualmente analoga, è di trapiantare due adulti. Grazie a questa metodica si può così ottimizzare un organo effettuando due trapianti. Da maggio 2021 è operativo il nuovo protocollo approvato dal Centro Nazionale Trapianti.
In aggiunta, all’Ospedale Bambino Gesù di Roma l’esecuzione di un trapianto split di fegato è stata combinata per la prima volta al mondo con l’impiego della macchina di perfusione extracorporea, di cui il centro è dotato dal 2018. Questa è una tecnologia emergente degli ultimi anni che è spesso utilizzata nel trapianto di organi interi, quali fegato, rene, polmoni e cuore, in pazienti adulti, e che permette di conservare in maniera più efficace gli organi rispetto alla modalità classica (immersione dell’organo nella soluzione di conservazione e ghiaccio). Con la macchina di perfusione extracorporeA, infatti, la soluzione di conservazione fredda, a cui viene aggiunto l’ossigeno (perfusione ipotermica) oppure sangue ossigenato (perfusione normotermica), viene fatta circolare all’interno dell’organo da trapiantare. Questa tecnica offre tre importanti vantaggi:
- innanzitutto quello di prolungare i tempi di ischemia, cioè l’intervallo durante il quale l’organo rimane al di fuori dell’organismo;
- permette poi di migliorare la conservazione dell’organo riducendo il danno cellulare e di valutarne durante la perfusione la capacità di funzionare una volta trapiantato (in prospettiva, durante la perfusione sarà possibile “modificare” l’organo, rendendolo ad esempio più compatibile dal punto di vista immunologico);
- consente di aumentare il numero degli interventi perché consente di trapiantare con maggiore sicurezza organi che altrimenti non verrebbero utilizzati, quali organi prelevati da donatori a cuore non battente, organi da donatori di età avanzata oppure organi prelevati in sedi molto lontane dal centro trapianti.
Nel caso specifico, i chirurghi del Bambino Gesù hanno utilizzato la macchina di perfusione per “dividere” un fegato prelevato fuori Italia, dove non sarebbe stato possibile effettuare lo split, e realizzare così due trapianti contemporanei. In assenza del macchinario, visti i tempi di ischemia molto lunghi, ci sarebbero stati maggiori rischi di malfunzionamento degli organi trapiantati: in uno dei due riceventi, infatti, il fegato è stato trapiantato dopo 16 ore di conservazione, quando normalmente il tempo massimo è di 8-10 ore.
Fonti
- Rossi M et al. http://www.siumb.it/files/journal/2007/3/ART5ROSSI.pdf
- Protocollo sulle procedure di split liver (operativo dal 17 maggio 2021). https://www.trapianti.salute.gov.it/imgs/C_17_cntPubblicazioni_414_allegato.pdf https://www.trapianti.salute.gov.it/imgs/C_17_cntPubblicazioni_414_allegato.pdf
- Primo fegato diviso con macchina di perfusione epatica – Comunicato stampa del 18/8/2020 Ospedale Bambino Gesù