La compatibilità.

La compatibilità è il presupposto basilare per il buon esito di un trapianto. Se infatti si effettuasse in via ipotetica e senza alcun accorgimento un trapianto d’organo tra due soggetti diversi, dopo un primo momento di apparente attecchimento, ci si dovrebbe amaramente ricredere, in quanto l’organo del donatore verrebbe letteralmente aggredito dalle cellule immunitarie del ricevente. Nel caso del fegato, delle cellule staminali ematopoietiche e dell’intestino, poi, potrebbe avvenire anche il fenomeno opposto, la cosiddetta “graft versus host disease” (o reazione del trapianto verso l’ospite, che può essere acuta o cronica a seconda che si manifesti rispettivamente prima o dopo 100 giorni dal trapianto): in questo caso viene aggredito il ricevente.

A eccezione dei gemelli omozigoti, che sono identici, è inevitabile che ogni individuo sia geneticamente differente dall’altro: quanto più questa diversità è accentuata tanto minore è la compatibilità. Proprio per ridurre il rischio di rigetto, e dunque di perdita di un organo prezioso, prima di un trapianto si effettuano in particolare tre test: il gruppo sanguigno, il cross-match, ossia la ricerca nel ricevente di eventuali anticorpi contro il potenziale donatore, la presenza dei quali comprometterebbe l’attecchimento del trapianto, e il profilo degli antigeni di istocompatibilità (HLA). Si tratta di proteine presenti sulla membrana delle cellule di un individuo che, come un marchio o un’impronta digitale, permettono al suo sistema immunitario di discriminare ciò che fa parte dell’organismo di appartenenza da quanto invece è esterno ad esso. Mediante l’applicazione di opportuni criteri standardizzati si può così verificare la fattibilità di un trapianto: sia nel caso in cui si profili un donatore volontario sia pure, qualora si rendesse disponibile un organo, per identificare nelle liste d’attesa un potenziale ricevente.

L’attuale disponibilità di vari farmaci immunosoppressivi ha contribuito a superare numerosi ostacoli e ad aumentare il numero di trapianti. È evidente, però, che il ricorso a questi trattamenti non è privo di effetti indesiderati (per esempio diabete, infezioni), per cui il criterio a cui ci si attiene in ogni decisione è sempre quello di un rapporto costo/beneficio vantaggioso per il paziente.

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