Cosa fare quando arriva la chiamata per il trapianto.

La preparazione all’intervento.
Già al momento della chiamata vengono fornite le indicazioni basilari. Il paziente dovrebbe raggiungere il centro non appena possibile, portando con sé l’occorrente per la degenza – che dovrebbe essere già stato predisposto – e la documentazione clinica. Solitamente è richiesto il digiuno e subito all’accesso in ospedale vengono effettuati gli esami di routine (esami del sangue, elettrocardiogramma, radiografia del torace), oltre alle necessarie misurazioni (altezza, peso, pressione arteriosa, circonferenza addominale e così via). Faranno seguito le visite da parte dei vari specialisti (anestesista, cardiologo o cardiochirurgo, nefrologo e così via) e la preparazione vera e propria all’intervento, con tutte le procedure necessarie per la sua gestione in sala operatoria e nella fase successiva (per esempio incannulazione, cateterizzazione venosa periferica e centrale). Saranno anche fornite indicazioni su eventuali presidi (fasce, calze elastiche, tutori) da procurare, in base alle necessità specifiche, per una migliore protezione della ferita, per la prevenzione di eventi tromboembolici, per il sostegno alla parete addominale e così via.

In caso di rifiuto.
Il supporto psicologico aiuta a essere motivati e pronti quando arriverà la chiamata che annuncia la disponibilità dell’organo. I tempi da quel momento sono strettissimi: tutto va deciso repentinamente e c’è poco spazio per dubbi o ripensamenti, che tuttavia possono insorgere: che fare allora? Il paziente deve comunicare la sua decisione di rinuncia al trapianto direttamente all’operatore, cosicché l’organo possa essere reso disponibile per un altro paziente. Seguirà di norma un colloquio con i medici referenti in cui valutare se la decisione di non eseguire il trapianto è definitiva, e in questo caso il paziente verrà escluso dalle lista di attesa, o indotta da altre motivazioni come ansia e timori che permettono il reinserimento in lista con le stesse priorità di attesa, ma con riserva. Questo significa che in caso di rinuncia anche alla seconda chiamata si perderà definitivamente il diritto al trapianto d’organo.

Il post-trapianto: la terapia intensiva, la degenza, la dimissione.
Sono tre tappe fondamentali del percorso del trapianto. All’uscita dalla sala operatoria è necessario un primo periodo di degenza in terapia intensiva, variabile a seconda del tipo di organo trapiantato, in cui le funzioni vitali sono monitorate da appositi macchinari. Segue poi una fase di degenza, di circa 7 giorni, in terapia semi-intensiva: una ‘zona’ protetta, a bassa carica microbica per tutelare il paziente trapiantato dal rischio di infezioni, tra i principali eventi avversi dopo il trapianto, in cui comincia anche la ripresa delle prime funzioni, ad esempio il movimento e l’alimentazione, pur restando sempre sotto stretto monitoraggio e con contatti quasi limitati a medici, infermieri e operatori sanitari protetti da camice, mascherina, cuffie e guanti monouso per evitare qualsiasi contaminazione. In ultimo avviene il trasferimento in un reparto di degenza dedicato, sempre a basso rischio di contaminazione, in cui al paziente sono consentite le visite di un familiare per volta, adeguatamente vestito con indumenti protettivi. Se tutto procede nella norma, a seconda del tipo di trapianto, dopo 3-7 settimane, arriva il giorno della dimissione. Finalmente il ritorno alla vita normale, nel rispetto delle indicazioni ricevute all’uscita dal reparto.

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