News dal mondo dei trapianti d'organo

Il rigetto d’organo: perché rappresenta una minaccia al trapianto e come si può combatterlo

Dottoressa Giorgia Comai, U.O. Nefrologia, Dialisi e Trapianto, IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna.

Il rigetto dell’organo trapiantato è rappresentato da una aggressiva risposta del sistema immunitario contro il rene trapiantato mediato dai linfociti, dai macrofagi o dagli anticorpi diretti contro l’organo.

Il rigetto si previene con i farmaci immunosoppressori che vengono prescritti già immediatamente dopo il trapianto. Grazie alle attuali strategie terapeutiche immunosoppressive il rigetto di tipo cellulare insorge in circa il 10-20% dei pazienti trapiantati ed è più frequente nel primo anno del trapianto mentre il rigetto mediato dagli anticorpi insorge nel 5% dei pazienti trapiantati.

In generale il rigetto è una complicanza temibile in quanto se non riconosciuta e trattata può portare alla perdita irreversibile della funzionalità del trapianto. Può insorgere in modo acuto ma anche in modo cronico. Nel primo caso i sintomi e i segni più tipici sono caratterizzati dalla comparsa di febbre, di dolore e senso di tensione del rene, dalla riduzione del volume urinario e dalla comparsa di ipertensione arteriosa. Nel secondo caso invece, il rigetto si instaura in modo più lento e spesso non si caratterizza per la comparsa di sintomi ma viene sospettato durante i controlli nefrologici periodici se compare la proteinuria o vi è un peggioramento della funzionalità renale.

La diagnosi di certezza del rigetto avviene mediante l’esecuzione della biopsia del rene trapiantato che mostrerà l’aggressione delle cellule del sistema immunitario sul rene. Esiste una classificazione istologica che permette di descrivere e caratterizzare il tipo di rigetto e la sua gravità. Questa classificazione è molto importante in quanto permette di mettere in atto le migliori strategie terapeutiche per combattere il rigetto. Queste terapie sono caratterizzate dall’uso di farmaci antirigetto come il cortisone e il siero antilifocitario nel caso del rigetto cellulare, le immunoglobuline endovena, il rituximab e le plasmaferesi nel caso del rigetto mediato da anticorpi.

È possibile combattere il rischio di rigetto se vengono seguite le indicazioni dei medici che si occupano del trapianto ed in particolare se viene seguita attentamente la prescrizione dei farmaci antirigetto che devono essere assunti costantemente.

La principale causa del rigetto è infatti la non aderenza alle medicine antirigetto. Per non aderenza alla terapia si intende sia il dimenticarsi di assumere i farmaci, quindi saltare delle dosi, sia l’assunzione non regolare, per esempio non rispettando gli orari indicati. Infine è sempre molto importante verificare, quando si inserisce nella terapia una medicina nuova, che questa non interferisca con le medicine antirigetto. Per questo è sempre importante confrontarsi con i dottori di riferimento del trapianto tutte le volte che viene suggerita una medicina nuova. In ultimo va ricordato che la non assunzione della terapia immunosoppressiva può causare l’insorgenza del rigetto in qualsiasi momento della vita del trapianto, non solo nel primo anno ma anche dopo molto tempo.

La moderna tecnologia ci viene in aiuto nel ridurre al minimo i possibili errori dell’assunzione delle medicine, possono essere utili sistemi di allarmi sul cellulare o app specifiche che ricordano gli orari dei farmaci.

È inoltre molto importante confrontarsi con il proprio medico in caso di effetti collaterali della terapia per poter trovare la giusta soluzione senza effettuare modifiche in autonomia che potrebbero essere causa di rigetto.

Il rapporto tra il paziente trapiantato e i medici specialisti è fondamentale per la buona riuscita del trapianto; questo percorso insieme è una collaborazione volta ad affrontare ogni problematica e soprattutto a prevenirla effettuando i periodici controlli clinici.

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Il monitoraggio del trapianto polmonare e la diagnosi precoce delle complicanze

Dott. David Bennett

Il follow-up post-trapianto si compone di esami e procedure diagnostiche finalizzate a garantire un adeguato monitoraggio

  • della salute dell’organo trapiantato,
  • degli effetti collaterali dei farmaci che è necessario assumere come conseguenza del trapianto e
  • delle complicanze organiche e psicologiche dei pazienti sottoposti a trapianto polmonare.

Le complicanze più comuni del trapianto di polmone sono il rigetto acuto, le infezioni, la disfunzione cronica dell’organo trapiantato (rigetto cronico), gli effetti collaterali dei farmaci e le complicanze internistiche (diabete, ipercolesterolemia, insufficienza renale, ecc).

La diagnosi precoce è fondamentale per una tempestiva ed efficace terapia.

Tipicamente il follow-up dei pazienti trapiantati di polmone si compone di appuntamenti periodici, più frequenti nei mesi immediatamente successivi al trapianto e via via meno frequenti, durante i quali i pazienti eseguono la visita pneumologica, la spirometria e il test del cammino, la misurazione della saturazione e degli altri parametri vitali, gli esami ematici generali, il dosaggio dei farmaci immunosoppressori e la ricerca nel sangue di alcuni virus, come ad esempio il cytomegalovirus.

Un ausilio molto importante viene fornito dalla radiologia, infatti tutti i pazienti eseguono la radiografia e la TC del torace ogni 6-8 mesi o ogni qual volta che sia necessario.

La salute dell’organo trapianto viene inoltre monitorata mediante l’esecuzione di biopsie polmonari transbronchiali che vengono effettuate durante la broncoscopia. La biopsia permette di ottenere informazioni fondamentali per monitorare il polmone trapiantato e rappresenta l’indagine fondamentale per la diagnosi di rigetto acuto.

Riguardo ai tempi di esecuzione delle biopsie, sono stati proposti approcci differenti con biopsie di sorveglianza secondo protocolli standardizzati (ad esempio a 1, 3, 6, 9 e 12 mesi post-LTX), oppure protocolli con biopsie on demand, cioè in base alle necessità cliniche dei pazienti, alla comparsa di nuovi sintomi respiratori, peggioramento funzionale alle prove di funzionalità respiratoria o nuovi rilievi radiologici. La questione su quale dei due approcci sia migliore non è mai stata completamente chiarita, la necessità di una corretta e tempestiva diagnosi deve infatti fare i conti con i rischi connessi alla procedura di biopsia (sanguinamenti significativi sono riportati nel 5% dei casi circa, mentre la comparsa di pneumotorace iperteso è attorno al 5-10%). D’altra parte, una significativa riduzione dei tassi di bronchiolite obliterante nei pazienti sottoposti a monitoraggio istologico intensivo del trapianto polmonare non è mai stata dimostrata definitivamente e la scelta di seguire un approccio o l’altro è lasciato ai singoli centri.

Durante la broncoscopia vengono comunemente eseguiti anche il lavaggio broncoalveolare per lo studio della composizione cellulare e i prelievi per le indagini microbiologiche.

Il lavaggio broncoalveolare gioca un ruolo aggiuntivo importante nel monitoraggio del trapianto e può essere d’aiuto nella diagnosi delle complicanze. In uno studio condotto presso il nostro centro, i pazienti con rigetto acuto avevano un aumento della percentuale di linfociti ed eosinofili nel lavaggio broncoalveolare rispetto agli altri pazienti, oltre a ciò, nei casi di rigetto cronico, il riscontro di aumento dei neutrofili si associa a una migliore risposta alla terapia con azitromicina.

Il lavaggio broncoalveolare e il tessuto ottenuto con la biopsia sono inoltre una fonte di grandissimo valore per la ricerca. Infatti, la messa a punto di biomarcatori per una diagnosi non-invasiva delle complicanze post-trapianto rimane oggi un obiettivo della ricerca di laboratorio.

L’attento monitoraggio nel tempo dei pazienti sottoposti a trapianto di polmone rimane ad oggi il fattore chiave per una buona riuscita del trapianto.

Il pronto riconoscimento delle complicanze post trapianto permette di mettere in campo le più efficaci e mirate terapie per ottenere il controllo della malattia e garantire la buona salute dei nostri pazienti.

David Bennett
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LA DISCIPLINA DEL COMPORTO NELLA SCUOLA

Avvocato Claudio Paolini

Dopo avere esaminato la disciplina del periodo di comporto e dei permessi che i pubblici dipendenti possono richiedere per l’effettuazione di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici nei comparti del pubblico impiego Sanità, Funzioni centrali e Funzioni locali, proseguiamo il nostro vademecum esaminando come vengono disciplinati questi aspetti nel quarto ed ultimo comparto della contrattazione collettiva pubblica.

Il testo contrattuale di riferimento è il CCNL del COMPARTO SCUOLA – inglobato nel nuovo Ccnl Istruzione e Ricerca, istituito con il testo sottoscritto dalle parti sociali il 09/02/2018.

Durata del comporto: 18 mesi (si sommano tutte le assenze per malattia dei tre anni precedenti l’ultima situazione di malattia in corso), con proroga di ulteriori 18 mesi (superato il primo periodo), su richiesta, in casi particolarmente gravi, previo accertamento delle condizioni di salute disposto dalla Amministrazione. Il secondo periodo interrompe la maturazione dell’anzianità di servizio e non dà diritto alla retribuzione.

Personale docente e ATA (personale amministrativo, tecnico e ausiliario) a tempo determinato: per l’intero anno scolastico o fino al termine delle attività didattiche, l’assente per malattia ha diritto alla conservazione del posto per un periodo non superiore a 9 mesi in un triennio scolastico.

Personale docente e ATA, assunto con contratto a tempo determinato stipulato dal Dirigente Scolastico: vige il diritto, nei limiti di durata del contratto medesimo, alla conservazione del posto per un periodo non superiore a 30 giorni annuali, retribuiti al 50%.

Superamento del comporto: superati i previsti periodi di conservazione del posto oppure nel caso che, a seguito dell’accertamento medico disposto per concedere la proroga di ulteriori 18 mesi, il dipendente sia dichiarato permanentemente inidoneo a svolgere qualsiasi proficuo lavoro, l’Amministrazione può procedere alla risoluzione del rapporto, corrispondendogli una indennità sostitutiva del preavviso. Tuttavia, il personale docente dichiarato inidoneo alla sua mansione per motivi di salute può, a domanda, essere collocato fuori ruolo e/o utilizzato in altri compiti, tenuto conto della sua preparazione culturale e professionale.

Patologie gravi che richiedano terapie temporaneamente e/o parzialmente invalidanti: sono esclusi dal calcolo del comporto i giorni di assenza per ricovero ospedaliero/day–hospital e quelli dovuti alle conseguenze certificate delle terapie. In queste giornate di assenza spetta l’intera retribuzione, senza la decurtazione normalmente applicata nei primi dieci giorni di malattia.

Aspettativa: il personale assunto a tempo indeterminato può chiedere al Dirigente Scolastico il riconoscimento di un periodo di aspettativa, anche per motivi personali e famigliari (fra i quali anche la malattia), soggetto al rispetto di limiti temporali:

– fino a 12 mesi, per l’aspettativa usufruita in modo continuativo;

– fino a due anni e mezzo nell’arco di 5 anni, se l’aspettativa viene fruita in periodi frazionati.

Tali periodi, in casi eccezionali, possono essere soggetti ad una proroga di ulteriori 6 mesi.

Durante l’aspettativa non si percepisce alcuna retribuzione, non maturano giorni di ferie, contributi, tredicesima, né anzianità di servizio.

Permessi per visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici: non sono previsti espressamente dal CCNL; qualora ricorrano siffatte necessità, il dipendente potrà avvalersi di:

permessi retribuiti per motivi personali, fino a 3 giorni per anno scolastico, valutati ai fini del riconoscimento dell’anzianità di servizio (solo per il personale docente e ATA assunto a tempo indeterminato);

– permessi non retribuiti per motivi personali, fino a un massimo di 6 giorni per anno scolastico (solo per il personale docente e ATA assunto a tempo determinato);

assenza per malattia, che varrà ai fini del computo del periodo di comporto.

In alternativa a questi permessi, per i medesimi fini, si possono utilizzare:

permessi brevi a recupero, per esigenze personali (concedibili compatibilmente con le esigenze di servizio), di durata non superiore alla metà dell’orario giornaliero individuale di servizio e, comunque, per il personale docente, fino a un massimo di due ore.

– personale ATA: i permessi complessivamente fruiti non possono eccedere n. 36 ore nel corso dell’anno scolastico;

– personale docente: il limite corrisponde al rispettivo orario settimanale di insegnamento. Inoltre, l’attribuzione dei permessi è subordinata alla possibilità della sostituzione con personale in servizio.

Entro i due mesi lavorativi successivi a quello di fruizione del permesso, il dipendente è tenuto a recuperare le ore non lavorate in una o più soluzioni, in relazione alle esigenze di servizio. Il recupero, da parte del personale docente, avverrà, prioritariamente, con riferimento alle supplenze o allo svolgimento di interventi didattici integrativi, con precedenza nella classe dove avrebbe dovuto prestare servizio il docente in permesso. Nei casi in cui non sia possibile il recupero per fatto imputabile al dipendente, l’Amministrazione provvede a trattenere una somma pari alla retribuzione spettante al dipendente stesso per il numero di ore non recuperate.

Ai dipendenti ATA sono riconosciuti specifici permessi per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici, fruibili su base sia giornaliera che oraria, nella misura massima di 18 ore per anno scolastico, comprensive anche dei tempi di percorrenza da e per la sede di lavoro. La domanda di fruizione dei permessi va presentata dal dipendente con un preavviso di almeno tre giorni. Nei casi di particolare e comprovata urgenza o necessità, la domanda può essere presentata anche nelle 24 ore precedenti la fruizione e, comunque, non oltre l’inizio dell’orario di lavoro del giorno in cui egli intende fruire del periodo di permesso.

Tali permessi:

– sono assimilati alle assenze per malattia ai fini del computo del periodo di comporto: sei ore di permesso fruite su base oraria corrispondono convenzionalmente ad una giornata lavorativa;

–  sono incompatibili con l’utilizzo nella medesima giornata delle altre tipologie di permessi fruibili ad ore;

– non sono assoggettati alla decurtazione del trattamento economico accessorio prevista per le assenze per malattia nei primi 10 giorni. Resta, comunque, ferma la possibilità per il dipendente di fruire, in alternativa ai permessi in esame, anche dei permessi brevi a recupero, dei permessi per motivi familiari e personali, dei riposi compensativi per le prestazioni di lavoro straordinario.

Claudio Paolini
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Donazione e trapianto di rene da vivente.

Dottoressa Giorgia Comai, U.O. Nefrologia, Dialisi e Trapianto, IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna.

Il trapianto di rene da donatore vivente è in progressivo aumento in tutto il mondo ed in molti centri trapianto ha superato per numerosità il trapianto di rene da donatore deceduto.

Questa tipologia di trapianto rappresenta la migliore opzione per i pazienti affetti da malattia renale cronica terminale in quanto il trapianto può essere programmato ed eseguito quindi prima dell’inizio della dialisi e perché offre i risultati migliori in termini di durata del trapianto rispetto al trapianto da donatore deceduto.

In Italia la legge italiana regola la donazione da vivente definendo che questa deve essere libera e volontaria, non deve assolutamente esserci coercizione o pagamenti.

Il donatore

Il servizio sanitario nazionale fornisce un’esenzione alle persone che si propongono quali potenziali donatori che permette di eseguire tutti gli esami necessari e che rimane valida dopo la donazione per poter proseguire le visite di controllo post donazione. È infatti compito e responsabilità del medico del centro trapianti effettuare una serie di esami sulla persona che si propone quale donatore che servono a verificare lo stato di salute generale e la funzionalità renale al fine di poter attestare che per quella persona la donazione non comporterà problematiche né nel breve né nel lungo termine.

I rischi potenziali collegati alla donazione sono quelli di sviluppare un’ipertensione arteriosa e di avere nel tempo una riduzione della funzione renale residua.

Tali rischi, tuttavia se si segue uno stile di vita sano dopo la donazione (astenzione dal fumo, mantenimento di un giusto peso corporeo, esecuzione di attività fisica), sono minimi.

Possono proporsi per la donazione da vivente sia i consanguinei della persona malata (genitori, fratelli o sorelle, cugini, zii, etc), che i legalmente apparentati (moglie e marito), che gli amici.

Il gruppo sanguigno diverso non rappresenta una controindicazione assoluta, in quanto con protocolli speciali, è possibile effettuare comunque il trapianto. Vengono sempre eseguiti sofisticati test di compatibilità che permettono di valutare l’esecuzione del trapianto da punto di vista immunologico.

Le controindicazioni alla donazione sono rappresentate dall’età minore di 18 anni, dalla presenza di malattie cardiovascolari gravi e di diabete, dalla presenza di neoplasie in atto, dalla presenza di insufficienza renale e dalla presenza di obesità.

Chi esegue la donazione generalmente resta ricoverato in ospedale 4-5 giorni ed in breve tempo (in media entro 1 mese) può tornare a condurre una vita esattamente uguale a prima della donazione sia dal punto di vista sociale, che lavorativo che sportivo.

L’intervento con cui si preleva il rene può essere eseguito con diverse tecniche chirurgiche, tra cui la laparoscopia (si tratta di una chirurgia mininivasiva che utilizza piccole incisioni, telecamere ad alta definizione, strumenti miniaturizzati) e la chirurgia robotica.

Dopo la donazione saranno effettuati controlli periodici a 1 mese e 6 mesi e poi 1 volta all’anno in ambulatori dedicati presso i centri trapianto.

Giorgia Comai
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La terapia immunosoppressiva post-trapianto e il rischio di infezioni

Dott. David Bennett

Le infezioni giocano un ruolo fondamentale per la buona riuscita del trapianto polmonare. Rispetto ai pazienti sottoposti a trapianto di altri organi solidi (SOT), i pazienti con trapianto polmonare risultano essere a maggior rischio di sviluppare infezioni batteriche, virali, parassitarie o fungine.

Ma quali sono i fattori che determinano questa maggior suscettibilità infettiva?

1. La terapia antirigetto con farmaci che riducono la risposta immunitaria

2. Le caratteristiche del trapianto polmonare tra cui il fatto che il polmone è l’unico organo a diretto contatto con l’ambiente esterno.

Le infezioni batteriche sono le più frequenti complicanze dopo il trapianto di polmone, da sole rappresentano oltre il 50% di tutte gli episodi infettivi. Colpiscono prevalentemente il tratto respiratorio e la polmonite rimane la più frequente infezione batterica. Il rischio di contrarre un’infezione batterica è maggiore durante le prime 3 settimane dal trapianto.

Per quanto riguarda le infezioni virali, queste rappresentano circa un terzo delle infezioni dopo il trapianto polmonare.

Il citomegalovirus (CMV) è il più frequente agente virale riscontrato dopo il trapianto.
Nei pazienti immunodepressi, l’infezione da CMV può essere
asintomatica,
o presentarsi come
sindrome da CMV (febbre, malessere, anomala riduzione dei globuli bianchi e delle piastrine nel sangue, aumento degli enzimi epatici, ecc.)
malattia specifica d’organo da CMV (polmonite, gastroenterite, epatite, ecc.).

Tra gli effetti indiretti sull’organo trapiantato, il CMV è riconosciuto come un importante fattore di rischio per il rigetto cronico, la principale causa di mortalità nei pazienti con trapianto di polmone.

Esistono differenti strategie per prevenire la malattia da CMV dopo il trapianto. Attualmente, le linee guida internazionali suggeriscono l’utilizzo di farmaci antivirali per un periodo di 6-12 mesi dopo il trapianto di polmone eventualmente associati a anticorpi specifici per il CMV.

Per quanto concerne le infezioni fungine, è stato riportato che fino al 9% dei pazienti sottoposti a trapianto polmonare sviluppino un’infezione fungina invasiva nel primo anno dopo il trapianto.

In conclusione, le infezioni hanno un impatto determinante sull’andamento del trapianto di polmone, molti sono i fattori da tenere in considerazione, tra cui il tempo trascorso dal trapianto. L’attenta valutazione con un approccio personalizzato e basato su specifici test di laboratorio e con l’ausilio dell’imaging radiologico e patologico è fondamentale per ridurre la morbidità e mortalità derivante delle infezioni post-trapianto di polmone.

David Bennett
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LA DISCIPLINA DEL COMPORTO NEI COMPARTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Avvocato Claudio Paolini

Dopo avere esaminato la disciplina generale del periodo di comporto (periodo massimo di giorni di assenza dal lavoro per malattia, decorso il quale il dipendente non ha più diritto alla conservazione del posto di lavoro) nel settore del pubblico impiego, vediamo ora, nel dettaglio, quali sono le regole fondamentali, utili da conoscere, previste dai Contratti Collettivi Nazionali per i dipendenti dei diversi comparti della Pubblica Amministrazione.

Si vuole offrire un piccolo vademecum di facile consultazione, fruibile in maniera più diretta e semplificata rispetto all’intero testo contrattuale, che può rivestire un particolare interesse con riguardo alla tutela del dipendente pubblico trapiantato o in attesa di trapianto.

Infatti, chi è affetto da gravi patologie croniche, che rendono necessario un trapianto, spesso, ha la necessità di assentarsi dal lavoro per periodi anche lunghi e ripetuti, tali da esporlo a possibili conseguenze, quali la perdita del posto di lavoro per licenziamento, nell’ipotesi in cui, a causa di tali assenze, venga superato il periodo di comporto previsto contrattualmente.

Prendiamo qui in esame solo alcuni comparti, lasciando ai prossimi articoli i restanti comparti.

COMPARTI SANITA’, FUNZIONI LOCALI (comprende il personale non dirigente dipendente da: Regioni a statuto ordinario e dagli Enti pubblici non economici dalle stesse dipendenti; Province, Città metropolitane, Enti di area vasta, Liberi consorzi comunali di cui alla legge 4 agosto 2015, n. 15 della regione Sicilia; Comuni; Comunità montane; ex Istituti autonomi per le case popolari comunque denominati; Consorzi e associazioni, incluse le Unioni di Comuni; Aziende pubbliche di servizi alla persona (ex IPAB), che svolgono prevalentemente funzioni assistenziali; Università agrarie ed associazioni agrarie dipendenti dagli enti locali; Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura; Autorità di bacino, ai sensi della legge 21 ottobre 1994, n. 584), FUNZIONI CENTRALI (comprende il personale non dirigente dipendente da Ministeri, Avvocatura Generale dello Stato, Consiglio di Stato, Corte dei Conti e Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro – CNEL, Agenzia Italiana del Farmaco – AIFA, Agenzia Nazionale per i Giovani, Agenzia Nazionale per le Politiche attive del lavoro – ANPAL, Agenzia per la Coesione Territoriale, Agenzia per la Cooperazione e lo sviluppo, Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane ICE, Agenzia per l’Italia digitale – AGID, spettorato Nazionale del Lavoro, altre Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, Centro interforze studi applicazioni militari – CISAM, Centro di supporto e sperimentazione navale – CSSN, Agenzia delle Entrate, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, Accademia nazionale dei Lincei, Aero Club d’Italia, Agenzia per le erogazioni in agricoltura – AGEA, Automobile Club d’Italia – ACI, Club Alpino Italiano – CAI, Consorzio dell’Adda, Consorzio dell’Oglio, Consorzio del Ticino, Enti Parco nazionali, Ente per lo sviluppo dell’irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia Lucania ed Irpinia, Ente strumentale della Croce Rossa Italiana, INAIL, INPS, Lega italiana per la lotta contro i tumori, Lega navale italiana, Ordini e collegi professionali e relative federazioni, consigli e collegi nazionali, ulteriori enti pubblici non economici comunque sottoposti alla vigilanza dello Stato, Ente nazionale aviazione civile – ENAC, Agenzia Nazionale per la sicurezza delle ferrovie, Agenzia Nazionale per la sicurezza del volo – ANSV)

Durata del comporto:

18 mesi (si sommano tutte le assenze per malattia dei tre anni precedenti l’ultimo episodio morboso in corso), con proroga di ulteriori 18 mesi, su richiesta, in casi particolarmente gravi, previo accertamento delle condizioni di salute disposto dalla Amministrazione.

Gravi patologie che richiedono terapie salvavita (emodialisi, chemioterapia e altre ad esse assimilabili):

sono esclusi dal calcolo del comporto i giorni di assenza per ricovero ospedaliero/day–hospital e per l’effettuazione delle terapie, oltre che le assenze dovute agli effetti collaterali delle terapie stesse, comportanti incapacità lavorativa per un periodo massimo di quattro mesi per ogni anno solare.

In queste giornate di assenza spetta l’intera retribuzione, senza la decurtazione normalmente applicata nei primi dieci giorni di assenza per malattia.

Superamento del periodo di comporto:

a) se il dipendente è riconosciuto idoneo a proficuo lavoro, ma non allo svolgimento delle mansioni del proprio profilo professionale: assegnazione a mansioni diverse, anche inferiori, se esistenti nell’organigramma;

b) se tali diverse mansioni non sono disponibili o se il dipendente viene dichiarato inidoneo a svolgere qualsiasi proficuo lavoro in via permanente: risoluzione del rapporto di lavoro entro 30 giorni dal ricevimento del verbale di accertamento medico che attesta la inidoneità.

Per ulteriori aspetti di dettaglio si rimanda all’articolo in cui è stata presa in esame la disciplina disposta dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 171/2011.

Permessi per visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici:

n. 18 ore annue. Sono fruibili a giorni o a ore; la richiesta va presentata con preavviso di almeno 3 giorni. Nei casi di particolare e comprovata urgenza/necessità, la domanda può essere presentata anche nelle 24 ore precedenti la fruizione e, comunque, non oltre l’inizio dell’orario di lavoro del giorno in cui il lavoratore intende fruire del permesso.

Queste assenze rientrano nel computo del comporto: sei ore di permesso fruite su base oraria, corrispondono a una intera giornata lavorativa. Sono fruibili cumulativamente, anche per la durata dell’intera giornata lavorativa. Non possono essere fruiti nella stessa giornata congiuntamente alle altre tipologie di permessi fruibili ad ore.

In alternativa a questi permessi, per i medesimi fini, si possono utilizzare:

– permessi brevi a recupero: n. 36 ore annue; ogni permesso può avere una durata non superiore alla metà dell’orario di lavoro giornaliero. La richiesta va inoltrata non oltre un’ora dopo l’inizio della giornata lavorativa, salvo casi di particolare urgenza/necessità.

Le ore vanno recuperate entro il mese successivo, pena la proporzionale decurtazione della retribuzione.

– Permessi orari per particolari motivi familiari e personali: n. 18 ore annue, da fruirsi compatibilmente con le esigenze di servizio.Sono fruibili cumulativamente, anche per la durata dell’intera giornata lavorativa. Non possono essere fruiti nella stessa giornata congiuntamente alle altre tipologie di permessi fruibili ad ore.

– Riposi compensativi per lavoro straordinario: da fruirsi, su richiesta del dipendente, compatibilmente con le esigenze organizzative e di servizio, entro il termine massimo di 4 mesi dalla effettuazione dello straordinario.

Claudio Paolini
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Trapianto di rene: quando è necessario, come si svolge, quali i tempi di ripresa.

Dottoressa Giorgia Comai, U.O. Nefrologia, Dialisi e Trapianto, IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna.

Il trapianto di rene rappresenta la miglior terapia per i pazienti affetti da malattia renale cronica terminale, condizione patologica che determina una perdita irreversibile della funzionalità renale fino al completo esaurimento funzionale. Diverse sono le condizioni che possono colpire i reni e causare e malattia renale cronica dando inizio alla necessità di un trattamento che ne sostituisca la funzione. I trattamenti sostitutivi della funzione renale possono essere artificiali, come nel caso della dialisi (procedimento finalizzato alla rimozione delle scorie prodotte dall’organismo e l’eccesso di liquido dal sangue), condotta collegando il paziente alla macchina per la dialisi mediante due ago-cannule inserite nel braccio, nell’emodialisi, o mediante un catetere applicato subito al di sotto dell’ombelico, nella dialisi peritoneale, oppure naturali come nel caso del trapianto.

Possono essere candidati al trapianto:

  • i pazienti che hanno una funzionalità renale compromessa con una velocità di filtrazione glomerulare (VFG) inferiore a 15 ml/min, oppure
  • i pazienti che hanno già iniziato il trattamento sostitutivo artificiale.

Un trapianto può essere eseguito prima dell’inizio della dialisi, questo tipo di trapianto è chiamato pre-emptive, oppure dopo l’inizio del trattamento dialitico.

Esistono due principali tipologie di trapianto:

  • il trapianto da donatore vivente (approfondiremo tale tematica prossimamente)
  • il trapianto da donatore deceduto

Per poter effettuare il trapianto ogni persona deve iscriversi nella lista d’attesa di due centri trapianto, uno della regione di appartenenza e uno di un’altra regione a scelta del paziente. L’idoneità all’iscrizione in lista avviene dopo l’esecuzione di esami del sangue e strumentali che vengono poi valutati dal team multidisciplinare del centro trapianti che comprende il nefrologo, il chirurgo e l’anestesista.

Una volta inseriti in lista d’attesa si attende l’arrivo del donatore compatibile. Nel centro di Trapianti di Rene di Bologna il tempo medio di attesa è di circa 2 anni.

Quando si rende disponibile un donatore, il centro trapianti si attiva per chiamare il paziente che viene selezionato come primo della lista in relazione agli attuali criteri nazionali. Il paziente selezionato dovrà quindi recarsi entro poche ore presso il centro trapianti per eseguire gli accertamenti che permetteranno poi di confermare l’idoneità al trapianto ed essere quindi inviato in sala operatoria.

La chiamata arriva improvvisamente, nella maggior parte dei casi di sera o notte e spesso crea forte emozione. È pertanto auspicabile che tutte le persone in lista, con l’aiuto del centro trapianti e del proprio nefrologo di fiducia, siano preparate a tale evento, per esempio tenendo già pronta una valigia con il necessario per la degenza in ospedale o avendo pianificato il viaggio verso il centro trapianti, in particolare per chi risiede in una regione diversa. In genere è necessario eseguire una seduta emodialitica aggiuntiva prima del trapianto.

Il percorso del trapianto si caratterizza poi per l’esecuzione dell’intervento chirurgico e la successiva degenza nel reparto trapianti per un periodo medio di circa 10 giorni. In alcuni casi, circa il 40%, il rene trapiantato può non riprendere subito la sua funzionalità e pertanto può rendersi necessaria l’esecuzione di una o più sedute di dialisi.

Dal punto di vista della ripresa fisica è importantissimo alzarsi dal letto il prima possibile (anche già in prima o seconda giornata post-operatoria) per evitare le complicanze legate all’allettamento. È molto importante indossare una pancera addominale appena ci si alza dal letto. Normalmente la ripresa graduale dell’alimentazione avviene dopo 2 giorni con una dieta leggera e poi dopo 4 giorni con una dieta normale. Nelle prime giornate post-operatorie sarà mantenuto in sede il catetere vescicale associato o meno ad un drenaggio addominale che vengono generalmente rimossi dopo un periodo variabile tra i 5 e i 10 giorni in relazione alla tipologia di trapianto e alle caratteristiche del paziente.

Al termine del ricovero, quando si viene dimessi dall’ospedale, inizia la fase di convalescenza a domicilio. Tale periodo è caratterizzato da 2 periodi principali: i primi 3 mesi post trapianto dove è generalmente suggerita l’astensione dall’attività lavorativa ed è consigliabile eseguire una vita riguardata, senza la frequentazione di luoghi affollati e con la ripresa di una modica attività fisica. Tutto questo in relazione al maggior rischio infettivo relato alla terapia antirigetto.

Il secondo periodo, dal 3° mese in avanti, si caratterizza poi per una graduale ripresa della vita normale sia in termini lavorativi o scolastici sia di attività fisica e di vita sociale. Grandissima attenzione in tutte le fasi va posta all’assunzione della terapia in particolare quella antirigetto e all’applicazione di uno stile di vita sano sia dal punto di vista alimentare che di attività fisica. È assolutamente vietato fumare. Sarà molto importante effettuare i periodici controlli che verranno indicati dal centro trapianti congiuntamente al centro nefrologico di riferimento del paziente al fine di monitorare il buon andamento del trapianto e la buona ripresa fisica generale.

Giorgia Comai
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LA INIDONEITÀ PSICOFISICA AL SERVIZIO DEL DIPENDENTE PUBBLICO

Avvocato Claudio Paolini

Vista l’enorme importanza, per le persone trapiantate o in attesa di trapianto, che riveste il tema della sopravventa inidoneità psicofisica al lavoro (la legge tiene uniti gli aspetti della salute, quella fisica e quella mentale, ovviamente a noi interessa l’ambito fisico), proseguiamo l’esame delle norme che disciplinano le conseguenze di tale inidoneità, facendo riferimento, questa volta, al settore del pubblico impiego.

L’art. 55 octies del Decreto Legislativo n. 165 del 30/03/2001 (Test Unico del pubblico impiego) prevede che, a seguito della accertata inidoneità psicofisica del dipendente, l’amministrazione possa licenziarlo, se l’inidoneità risulta permanente e assoluta; se, invece, l’inidoneità risulta permanente, ma relativa, l’amministrazione può procedere ad un eventuale demansionamento. La norma rinvia ad un successivo regolamento la definizione della procedura da seguire per la verifica dell’ inidoneità, nonché le conseguenze da essa derivanti.

In attuazione del rinvio, tale regolamento è stato emanato con Decreto del Presidente della Repubblica n. 171 del 27/07/2011, che si applica al personale, anche dirigenziale, delle amministrazioni dello Stato (anche ad ordinamento autonomo), degli enti pubblici non economici, degli enti di ricerca, delle Università e le Agenzie. A tale provvedimento ha fatto seguito la Circolare Inps – Direzione Centrale Risorse Umane – n. 33 dello 08/03/2012.

La inidoneità psicofisica permanente assoluta consiste nella impossibilità, permanente e assoluta, di svolgere qualsiasi attività lavorativa, a causa di un’infermità fisica o menatale; l’inidonietà psicofisica permanente relativa, invece, comporta la impossibilità permanente di svolgere alcune o tutte le mansioni della categoria o qualifica di inquadramento del dipendente.

La procedura per l’accertamento medico della inidoneità può essere avviata su istanza dello stesso dipendente – corredata da idonea documentazione sanitaria (referti rilasciati da strutture sanitarie pubbliche o private convenzionate con S.S.N. o certificazione del Medico Competente) – o dall’amministrazione, d’ufficio. L’amministrazione, in particolare, può avviare la procedura in seguito a:

1) assenza del dipendente per malattia, una volta che sia stato superato il periodo di comporto contrattualmente previsto;

2) disturbi del comportamento gravi, evidenti e ripetuti che facciano presumere l’esistenza di un’inidoneità psichica permanente, assoluta o relativa, al servizio;

3) condizioni fisiche che facciano presumere l’inidoneità fisica permanente assoluta o relativa al servizio. A fronte di tali circostanze, l’amministrazione può richiedere che il dipendente venga sottoposto a visita da parte degli organi medici competenti, proprio al fine di verificare la sua idoneità al servizio; di tale iniziativa deve essere data immediata comunicazione al dipendente stesso.

In caso di accertata inidoneità permanente relativa allo svolgimento delle mansioni del profilo professionale di appartenenza, l’amministrazione è tenuta a effettuare ogni tentativo di ricollocamento del dipendente, anche in mansioni equivalenti o di altro profilo professionale riferito, però, allo stesso inquadramento. Qualora, invece, il lavoratore venga giudicato inidoneo a svolgere mansioni equivalenti o mansioni afferenti allo stesso inquadramento, egli può essere adibito anche a mansioni di area professionale diversa o, eventualmente, inferiori, con conseguente inquadramento nell’area contrattuale di riferimento. In entrambe le ipotesi, le nuove mansioni a cui egli viene assegnato devono essere coerenti con l’esito dell’accertamento medico e con i titoli da questo posseduti; deve poi essergli assicurato un percorso di riqualificazione. Il dipendente assegnato a mansioni inferiori ha diritto alla conservazione del medesimo trattamento economico.

Se, nella dotazione organica, sulla base delle risultanze mediche, non vi sono posti corrispondenti ad un profilo di professionalità adeguata al lavoratore, egli viene collocato in soprannumero. Qualora il suo riassorbimento non sia possibile, a causa della carenza di disponibilità in organico, sarà da avviarsi una procedura di consultazione con le amministrazioni aventi sede nella provincia, per una sua utile ricollocazione. A fronte dell’esito negativo di tale consultazione, verrà applicata la procedura di cui all’art. 33 del decreto n. 165/2001, che, in estrema sintesi, prevede il collocamento in disponibilità dei dipendenti sovrannumerari, non diversamente ricollocabili, per un periodo massimo di 24 mesi, con sospensione della prestazione lavorativa e corresponsione di un’indennità pari all’80% della retribuzione, oltre che di una indennità integrativa speciale.

Qualora, invece, venga accertata la inidoneità permanente assoluta del lavoratore, l’amministrazione, entro 30 giorni dal ricevimento del verbale di accertamento medico, previa comunicazione all’interessato, procede a licenziarlo, corrispondendogli l’indennità di preavviso, se dovuta.

Anche prima dell’inizio della procedura di accertamento medico – o, una volta avviata, nel lasso di tempo che precede la visita medica -, l’amministrazione ha la facoltà di disporre, con atto motivato e comunicato al dipendente, la sua sospensione cautelare, qualora vi siano comportamenti o condizioni fisiche che facciano presumere l’esistenza di una sua inidoneità fisica o psichica, qualora essi siano causa di pericolo per la sicurezza e l’incolumità del dipendente stesso, degli altri dipendenti o degli utenti. Una volta ricevuta detta comunicazione, l’interessato ha la facoltà di presentare una replica scritta e documenti, che devono essere obbligatoriamente valutati prima della emissione del provvedimento di sospensione. La facoltà di sospensione è prevista anche nel caso in cui il dipendente non si presenti alla visita, senza un giustificato motivo. In questo caso, un ulteriore ingiustificato rifiuto di sottoporsi a visita ha come conseguenza la possibilità, per l’amministrazione, di procedere al licenziamento, con preavviso. La sospensione cautelare non può avere una durata superiore a 180 giorni, salvo rinnovo o proroga, qualora sussistano giustificati motivi.

Va menzionata, infine, la disciplina da applicarsi al personale con qualifica dirigenziale. Nel caso di accertamento di inidoneità relativa, l’amministrazione, previo contradditorio con l’interessato, revoca l’incarico e, in base alle risultanze dell’accertamento medico, può:

a) conferirgli un incarico dirigenziale, tra quelli disponibili, diverso e compatibile con l’esito dell’accertamento, assicurandogli, eventualmente, un adeguato percorso di formazione; b) nel caso di indisponibilità di posti in organico, il dirigente è collocato a disposizione, senza incarico. Nella prima ipotesi, se il nuovo incarico ha un valore economico inferiore, egli conserva il trattamento economico corrispondente all’incarico di provenienza.

Claudio Paolini
News dal mondo dei trapianti d'organo

Il trapianto di polmone nei pazienti con COVID-19: l'esperienza dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese.

Dott. David Bennett

La maggior parte delle persone che contraggono il virus SARS-CoV-2 sviluppano una malattia da coronavirus (COVID-19) con sintomi da lievi a moderati e si riprendono senza bisogno di cure particolari. Tuttavia, alcuni sviluppano una forma grave con insufficienza respiratoria che può richiedere cure intensive come la ventilazione meccanicae il supporto extracorporeo tramite ECMO (ExtraCorporeal Membrane Oxygenation).

La ECMO è una tecnica utilizzata in caso di insufficienza polmonare grave. Praticamente, si preleva sangue dal paziente e lo immette nel polmone artificiale; qui il sangue viene ossigenato e privato di anidride carbonica, e poi reimesso nell’organismo.

Il prelievo di sangue avviene sempre da una vena, mentre la reintroduzione del sangue ossigenato può avvenire sia in una vena (ECMO veno-venosa) sia in una arteria (ECMO veno-arteriosa).

Il trapianto di polmone è stato proposto in pazienti altamente selezionati con sindrome del distress respiratorio acuto (ARDS) da COVID-19 e a fine 2021 anche il Centro di Trapianto Polmonare di Siena ha dovuto far fronte ad una richiesta per trapianto per COVID-19.

La sindrome da distress acuto è una patologia in cui i polmoni non sono più in grado di funzionare correttamente. È una patologia potenzialmente fatale. Nella ARDS, a livello polmonare non avvengono più gli scambi tra ossigeno e anidride carbonica a causa dell’accumulo di liquido nei polmoni.

Il nostro Centro ha la peculiare caratteristica di avere un elevato numero di pazienti affetti da fibrosi polmonare, principalmente per il forte richiamo della Unità Operativa di Malattie Respiratorie nei confronti di queste patologie.

Il paziente, un sacerdote missionario che aveva contratto l’infezione mentre era in Africa, aveva sviluppato un’insufficienza respiratoria per cui, rimpatriato in Italia, era stato ricoverato presso la rianimazione dell’Azienda ospedaliero-universitaria Careggi dove, a causa del peggioramento progressivo delle condizioni cliniche, era stato necessario il supporto di ossigenazione extracorporea ECMO tramite canula bilume giugulare che ha permesso, oltre all’assistenza respiratoria, di mantenere il paziente sveglio e collaborante e in grado di svolgere fisioterapia attiva e pertanto di conservare una buona forma fisica. Tuttavia, a causa dello sviluppo di fibrosi polmonare dovuta al COVID-19, il paziente è stato proposto come potenziale candidato al trapianto attraverso il percorso della rete trapianto di polmone della Regione Toscana con il conseguente trasferimento presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese. A novembre 2021, dopo oltre 6 mesi di assistenza ECMO, l’equipe guidata dal chirurgo Prof. Luca Luzzi ha finalmente potuto effettuare il trapianto che ha ridato nuova vita al paziente.

L’intervento si è svolto regolarmente e già dopo le prime 24 ore post trapianto non è stato più necessario il supporto extracorporeo e progressivamente il paziente ha sospeso la ventilazione meccanica fino a completa autonomia respiratoria. Il programma di riabilitazione è stato molto lungo e impegnativo, ma il paziente oggi si presenta in buone condizioni generali e respiratorie non necessitando di alcuna assistenza respiratoria, né di ossigeno-terapia.

I dati fino ad oggi pubblicati sui risultati del trapianto di polmone dopo COVID-19 sono ancora pochi e molto lavoro deve essere fatto per capire meglio quali pazienti possano realmente beneficiare del trapianto. L’assenza di test clinici o biormarcatori in grado di predire il decorso della polmonite da Sars-CoV2, ci impedisce di identificare quei pazienti che potranno recuperare nel tempo e guarire rispetto a chi invece presenterà un andamento progressivo nei quali il trapianto potrebbe davvero rappresentare un intervento terapeutico decisivo. È infatti stato riportato un recupero significativo nel 50%-60% dei pazienti con ARDS associato a COVID-19.

L’attenta selezione dei candidati da parte di un team multidisciplinare specializzato nella gestione dell’ARDS e nel trapianto di polmone appare fondamentale per garantire un buon risultato a distanza come è stato nel nostro caso.

Nonostante le tante difficoltà, il caso del paziente trapianto a Siena dimostra che il risultato a lungo termine è un raggiungibile, anche in quei pazienti in supporto extracorporeo da molti mesi. Ci attendiamo che la ricerca riesca a trovare una cura definitiva all’infezione da Sars-CoV2, ma nel frattempo ogni sforzo dovrebbe essere perseguito per fornire la migliore assistenza possibile ai pazienti con danno polmonare severo.

David Bennett
News dal mondo dei trapianti d'organo

Il periodo di comporto nel pubblico impiego

Avvocato Claudio Paolini

Dopo esserci occupati delle assenze dal lavoro per malattia del lavoratore trapiantato o in attesa di trapianto e, più in generale, della tutela del paziente in ambito lavorativo, vediamo ora come questa tematica viene disciplinata nell’ambito del pubblico impiego, con particolare riferimento al periodo di comporto.

Ricordiamo che il comporto è il periodo massimo di giorni di assenza dal lavoro per malattia, decorso il quale il dipendente non ha più diritto alla conservazione del posto di lavoro. La durata di tale arco temporale, anche per il pubblico impiego, è stabilita dai singoli Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) applicabili ai diversi comparti di appartenenza del lavoratore, che, oltre a questo aspetto, disciplinano anche altri profili di questo istituto.

Per i dipendenti pubblici, la disciplina delle assenze per motivi sanitari è stata ridefinita dal Decreto Legge n. 112 del 25/06/2008, art. 71 (convertito, con modificazioni, dalla Legge 06/08/2008, n. 133), con le integrazioni di cui alle Circolari nn. 7/2008, 8/2008 e 10/2011 del Dipartimento di Funzione Pubblica.

In linea generale, per i dipendenti pubblici, il comporto non può avere una durata superiore a 18 mesi, con possibilità di proroga per ulteriori 18 mesi. Solo i primi 18 mesi sono retribuiti in base alla effettiva durata delle assenze dal servizio; l’eventuale periodo di proroga, invece, viene fruito come periodo di aspettativa non retribuita, da richiedersi prima della scadenza del primo periodo, nel caso in cui le condizioni di salute del lavoratore non gli consentano un rientro in servizio. Dopo avere ricevuto la domanda di aspettativa, l’Amministrazione di appartenenza, attraverso il servizio di Medicina Legale dell’Ausl di riferimento, può richiedere gli accertamenti sanitari, volti a verificare che, effettivamente, le attuali condizioni di salute del dipendente non gli consentano di rientrare al lavoro. Trascorso tale periodo (18 mesi + 18 mesi), se il lavoratore è stato riconosciuto idoneo al lavoro, ma non alle mansioni specifiche del proprio profilo professionale, può rientrare in servizio, essendo adibito – con il suo consenso – anche a mansioni inferiori a quelle di originaria assegnazione, ove nella pianta organica ve ne siano di compatibili con le sue condizioni di salute. In tale caso, comunque, il dipendente conserva il trattamento retributivo più favorevole, corrispondente alle mansioni di provenienza.

Poiché la conseguenza del superamento di tale periodo può essere la perdita del posto di lavoro per licenziamento, è particolarmente importante essere a conoscenza della disciplina contrattuale applicabile al proprio comparto di appartenenza. Vi rimandiamo all’articolo dedicato al tema, già pubblicato, per gli approfondimenti.

A tal proposito, anche il dipendente pubblico ha la possibilità di sospendere il decorso del periodo di comporto, proprio per non dovere trovarsi esposto al rischio di essere licenziato a causa del suo decorso. Egli, a tal fine, prima della scadenza del comporto, può chiedere di fruire delle ferie maturate e non godute, in sostituzione dei giorni di malattia. Sul punto la Corte di Cassazione si è espressa con la ordinanza 10 luglio – 14 settembre 2020, n. 19062. Dopo avere premesso che: 1) il lavoratore ha la “facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate e non godute”, 2) la scelta del periodo di fruizione delle ferie, in linea di principio, spetta al datore di lavoro, la Suprema Corte ha espresso il principio per cui il diniego delle ferie da parte del datore si deve, comunque, misurare “con il rilevante e fondamentale interesse del lavoratore ad evitare in tal modo la possibile perdita del posto di lavoro per scadenza del periodo di comporto”.

Pertanto, quando la fruizione delle ferie è finalizzata a evitare lo spirare del comporto, il diritto del datore di scegliere il tempo delle ferie, sancito dall’art. 2109 del codice civile, viene notevolmente limitato, ritenendosi preminente il diritto del lavoratore a non perdere il proprio posto di lavoro per motivi di salute. In questo frangente, dunque, l’eventuale diniego della “richiesta ferie” dovrà essere fondato su una motivazione particolarmente stringente ed esplicativa.

Durante i periodi di assenza per malattia, la retribuzione viene corrisposta secondo la seguente quantificazione:

  • primi 9 mesi: 100% della retribuzione (esclusi, nei primi dieci giorni, ogni indennità o emolumento, aventi carattere fisso o continuativo, nonché ogni altro trattamento accessorio);
  • successivi 3 mesi: 90% della retribuzione; ulteriori 6 mesi: 50% della retribuzione;
  • eventuali 18 mesi successivi: 0% retribuzione.

Vediamo che, nei primi dieci giorni di ogni periodo di malattia, la retribuzione subisce una decurtazione, in quanto viene corrisposto il solo trattamento economico fondamentale (si rimanda alla Circolare del Dipartimento di Funzione Pubblica n. 7/2008 per verificare le componenti di tale trattamento), escluse le voci sopra indicate, come previsto dall’art. 71 del Decreto Legge n. 112/2008. Questo articolo, sancisce, però, la possibilità che i singoli CCNL (o le normative di settore) stabiliscano una disciplina più favorevole, in forza della quale tale decurtazione potrebbe non applicarsi, fra l’altro, per:

  • assenze dovute a gravi patologie che richiedono l’effettuazione delle terapie salvavita (che, cioè, sono indispensabili per il mantenimento in vita del soggetto o per il suo prolungamento, di per sé produttive di una incapacità temporanea alla prestazione lavorativa, a causa dei loro effetti invalidanti), quali l’emodialisi, la chemioterapia, ecc… (sono esclusi dalla decurtazione anche i giorni di assenza dovuti alle conseguenze invalidanti certificate che, tipicamente, possono derivare in seguito alla effettuazione delle terapie salvavita);
  • assenze per ricovero ospedaliero o day-hospital.

Eccezion fatta per le citate casistiche, l’ultimo comma dell’art. 71 sancisce espressamente che la contrattazione collettiva non può derogare alla riduzione della retribuzione nei primi dieci giorni di malattia. Con la circolare n. 8/2008, il Dipartimento della Funzione Pubblica precisa, poi, che la decurtazione opera per ogni episodio di assenza (anche di un solo giorno) e per tutti i dieci giorni, anche se l’assenza si protrae per più di dieci giorni. Decorsi tale primo periodo, si applicherà il regime giuridico – economico previsto dai CCNL e dagli accordi di comparto.

Il periodo di comporto va calcolato, sommando, di volta in volta, i giorni di assenza dovuti al nuovo episodio di malattia alle assenze per malattia verificatesi nei tre anni precedenti. Pertanto, è importante prestare attenzione alla data in cui ha avuto inizio l’ultimo episodio di morbilità, in quanto è proprio da quella data che decorrono i tre anni a ritroso.

Quanto al calcolo del comporto, si segnala, inoltre, che vi sono CCNL che, introducendo una disciplina di maggior favore, prevedono lo scorporo, da tale periodo, dei giorni di assenza per malattia dovuti alle patologie gravi, che richiedono terapie salvavita. In particolare, vengono scorporati:

  • i giorni di ricovero ospedaliero o di day hospital, necessari a effettuare le terapie;
  • i giorni di assenza dovuti al prodursi degli effetti collaterali diretti delle terapie stesse, certificati come tali. In tal senso, si segnala la sentenza della Corte Costituzionale n. 28 del 3 marzo 2021.

È importante evidenziare che la gestione clinica e il monitoraggio del trapianto, da un punto di vista normativo, non sono considerate terapia salvavita, con tutte le conseguenze derivanti da quanto sopra illustrato in fatto di retribuzione e calcolo del periodo di comporto. Il lavoratore trapiantato, quindi, potrà optare per:

  •  permesso breve,
  • permesso per documentati motivi personali,
  • assenze per malattia, 
  • ferie,
  • aspettativa finalizzata ad evitare il superamento del comporto,
  • permessi di cui alla Legge n. 104/92.

L’Inps ha incluso il trapianto d’organo vitale nella lista di riferimento delle situazioni patologiche che integrano il diritto all’esonero dalle fasce di reperibilità in caso di assenza per malattia (“Linee Guida in attuazione del Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro della Salute, 11 gennaio 2016, previsto dall’art. 25 del D. Lgs. 14 settembre 2015, n. 151”).

La procedura volta al riconoscimento di una grave patologia deve essere attivata dal lavoratore, che è tenuto a trasmettere alla propria Amministrazione una certificazione medica attestante sia l’esistenza di una grave patologia – non incompatibile, in maniera permanente, con la conservazione del rapporto di lavoro -, sia la necessità, in conseguenza della patologia, di ricorrere, contestualmente alla patologia in atto, alle terapie salvavita, oltre che del periodo temporale in cui verrà effettuata.

Claudio Paolini
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